Miglior dieta 2019: al primo posto la dieta mediterranea!
Certamente non è una novità, ma stavolta ad ammetterlo sono anche gli americani: la Dieta mediterranea è la migliore al mondo.
La notizia arriva dalla Coldiretti: sulla base del best diet ranking 2019 elaborato dal media statunitense U.S. News & World Report (riconosciuto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori) «la dieta mediterranea ha vinto la sfida tra 41 diverse alternative con un punteggio di 4,2 su 5 grazie agli effetti positivi sulla longevità e ai benefici per la salute, tra cui perdita e controllo del peso, salute del cuore e del sistema nervoso, prevenzione del cancro e delle malattie croniche, prevenzione e controllo del diabete».
Il primato generale della dieta mediterranea – precisa la Coldiretti – è stato ottenuto grazie al primo posto in ben cinque specifiche categorie: prevenzione e cura del diabete, mangiare sano, benefici per il cuore, componenti a base vegetale e facilità a seguirla. A contendere la vittoria della dieta mediterranea sul podio sono state la Dash (contro l’ipertensione) che si classifica al posto d’onore, e la Flexariana (un modo flessibile di alimentarsi).
Al quarto posto la dieta Mind, che previene e riduce il declino cognitivo e la storica dieta ipocalorica “Weight watchers”. Dunque, un nuovo importante riconoscimento per la Dieta mediterranea, vero e proprio tesoro del Made in Italy che ci ha portato il nostro paese (il 7% della popolazione) ad avere il primato della quota più alta di ultraottantenni in Europa, davanti a Grecia e Spagna, ma anche una speranza di vita che è tra le più alte a livello mondiale ed è pari a 80,6 per gli uomini e a 85 per le donne.
Proprio un bel vivere e, perché no, un bel mangiare.
Dieta chetogenica
La dottoressa Adriana Carotenuto, esperta nutrizionista, ci spiega le virtù e le numerose applicazioni della Dieta Chetogenica.
Saranno almeno una decina d’anni che utilizzo la Dieta Chetogenica, essendo un protocollo ormai consolidato a livello ambulatoriale. Vanno fatte sin da subito delle precisazioni: non tutti i pazienti possono adottare questo protocollo, ci sono dei parametri di inclusione rigidi ed è possibile seguire questa terapia alimentare solo dopo aver effettuato controlli medici negli ambulatori di riferimento.
La Dieta Chetogenica è particolarmente indicata nel trattamento del Diabete tipo 2 e nella Sindrome metabolica, ma mostra grandi risultati nella riduzione delle adiposità localizzate e non solo.
L’assunzione di proteine (da 1,2 g a 1.5 g per kg di peso corporeo) e l’apporto calorico molto basso previsti da questa dieta, obbligano l’organismo ad utilizzare le proprie riserve energetiche e dopo l’esaurimento di queste ultime sotto forma di glicogeno, si instaura una gluconeogenesi epatica che va a produrre il 20% dei nutrienti stimolando la lipolisi e la chetogenesi.
Questo meccanismo fa sì che vengano utilizzati i lipidi concentrati nelle zone di deposito localizzato, tanto frequenti soprattutto nelle pazienti donne, le quali non di rado presentano un accumulo di grasso soprattutto nella regione trocanterica delle cosce e dei glutei. La capacità della Dieta Chetogenica è quella di mantenere invariata la parte superiore del corpo (già spesso più piccola rispetto alla parte inferiore) andando a ridurre soltanto l’adiposità localizzata.
La Dieta Chetogenica viene applicata anche in caso di linfedema, una vera e propria patologia rappresentata da gambe molto gonfie, con un ritorno venoso più lento. La terapia, riducendo l’adiposità della coscia riesce di conseguenza a migliorare anche il circolo venoso.
Personalmente prescrivo protocolli solo ed esclusivamente di 14 giorni di dieta chetogenica. Il motivo è legato alla “compliance” dei pazienti, che all’inizio reagiscono benissimo ma poi possono incappare in errori, anche banali, che rischiano di compromettere tutto il processo di chetosi e di dimagrimento.
I pazienti infatti, inizialmente hanno un’ottima risposta perché vedono una riduzione del peso corporeo già nella prima settimana (anche 2,5-3 kili) e in alcuni casi dopo 28 ore, massimo 36 vanno in chetosi godendo di questo effetto anoressizzante e euforizzante in modo da non aver fame e stare molto bene.
Bastano poi errori grossolani come prendere un caffè, anche senza zucchero, alla macchinetta per poi impedire la chetosi e gli effetti conseguenti. Per questo ribadisco come questo sia un protocollo che deve essere seguito con moltissima attenzione ed è fondamentale da parte del personale spiegare al paziente dettagliatamente tutto quello che non deve fare.
La differenza è notevole, anzi totale rispetto ad altre diete alimentari ipocaloriche o leggermente iperproteiche come capita di prescriverne a pazienti che non si possono includere nel protocollo della chetogenica per motivi patologici o diversi. Questi pazienti non riescono ad entrare in chetosi e nonostante tutte le cautele hanno sempre una perdita, sia della massa magra che della massa muscolare.
Con questa dieta invece cambia tutto, proprio perché mantiene il paziente con una massa muscolare costante e, come si può verificare con l’esame bio-impedenziometrico, anche dopo la dieta chetogenica ci si può ritrovare addirittura di fronte ad un aumento massa muscolare e della massa cellulare.
A fine protocollo, troveremo un metabolismo basale aumentato, perché la massa cellulare è la massa metabolicamente attiva. Parliamo di conseguenza di un protocollo differente rispetto a tutto il resto. Sottolineo ancora una volta che va fatta molta attenzione e va seguito sotto controllo medico.
L’artrite si cura nel piatto
Nonostante la mole di lavori scientifici che stanno confermando i legami tra alimentazione e le varie forme di artrite (Artrite reumatoide, Artrite reattiva, Artrite psoriasica) sono ancora poche le strutture che propongono specifici cambi alimentari per controllare dolore e infiammazione e aiutare chi ne soffre a recuperare il proprio stato di benessere in modo naturale.
Il legame tra alimentazione e artrite
Ci sono due aspetti che legano il cibo e l’infiammazione. Il primo dipende dalle citochine del sistema immunitario stimolate dall’ingestione di un cibo che genera una infiammazione alimentare. È legato all’innalzamento dei livelli di Baff, di Paf e di altre citochine, che come descritto da Cheng (1) sono in grado di attivare una risposta autoimmunitaria nell’organismo. Si tratta del meccanismo che molti identificavano con il nome ormai obsoleto e ascientifico di “intolleranze alimentari“. Il secondo dipende invece dalle adipochine prodotte dalle cellule del tessuto adiposo come risposta alla particolare modalità alimentare, ad esempio dalla dominanza di assunzione di carboidrati rispetto alle proteine (con produzione di visfatina), dal digiuno prolungato (con produzione di resistina) e dal mancato rispetto del fisiologico timing alimentare (in assenza di prima colazione ad esempio la leptina non viene prodotta). Grazie a queste nuove conoscenze è possibile affrontare ogni caso di artrite, anche quando ci sia una forte componente autoimmunitaria, partendo dallo studio dell’infiammazione da cibo, del Profilo Alimentare personale e impostando una proposta nutrizionale individualizzata adatta a ridurre i livelli di infiammazione locali e sistemici.
Oltre al primo importante lavoro di Francisca Lago (2), anche le ricerche di Conde (3), pubblicate su Discovery Medicine, hanno considerato gli effetti di induzione dell’artrite legati alla scorretta distribuzione di proteine e carboidrati all’interno dei singoli pasti. La ricerca scientifica sta infatti confermando oggi il fondamentale impatto delle adipochine nella genesi dell’infiammazione articolare e dei fenomeni dolorosi che ne sono correlati.
Il sistema alimentare che spesso consiglio ai nostri pazienti, a partire dalla ricca prima colazione, mira specificamente a controllare e orientare la produzione delle adipochine rilasciate dal tessuto adiposo, e a ridurre la produzione di Baff (B Cell Activating Factor) che, grazie agli studi di Lied (4) spiega tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo.
Attilio Speciani
Per approfondimenti:
1) Chen M et al, Cytokine Growth Factor Rev. 2014 Jun;25(3):301-5. Epub 2013 Dec 24.
2) Lago F et al, Nat Clin Pract Rheumatol. 2007; 3(12):716-724
3) Conde J et al, Discov Med. 2013 Feb;15(81):73-83
4) Lied GA et al, Aliment Pharmacol Ther. 2010 Jul;32(1):66-73. Epub 2010 Mar 26
Articolo Pubblicato da Nutrizione 33